C’è una lettura immediata di quello che è successo, cioè la vittoria del No e le dimissioni di Matteo Renzi da primo ministro: gli elettori in tutto il mondo vogliono rimettere in discussione lo status quo, chiedono svolte brusche, hanno perso fiducia nella democrazia liberale. Prima hanno votato per fermare l’accordo tra Ue e Ucraina in Olanda, poi per uscire dall’Unione in Gran Bretagna, negli Usa per Donald Trump e in Italia per silurare il premier Renzi.

Per quello che ho visto in questi mesi, dall’osservatorio del Fatto, è completamente diverso. Se consideriamo la somma dei voti dei due partiti cosiddetti anti-sistema, Movimento Cinque Stelle e Lega Nord, si arriva poco sopra il 40% dei consensi. La percentuale di voti per il No alla riforma costituzionale è stata molto più alta, segno quindi che non c’è una sovrapposizione tra contrarietà alla riforma (o a Renzi) e le posizioni estreme nel nostro arco costituzionale.

Questo è un risultato che nessun partito si può intestare.

C’è quindi da cercare un’altra spiegazione. E io ne vedo due. La prima: Renzi ha inseguito i populisti sul loro terreno. Ha cercato di trasformare il Pd nel più classico dei partiti “pigliatutto”, assorbendo il programma e le priorità di tutte le altre forze politiche. Vicino alle imprese e indulgente sull’evasione fiscale come la destra, deficit, bonus e aiutini a quella parte di ceto medio che è la base della sinistra, europeista. Ma anche anti-sistema: contro l’Ue, contro la casta, contro i professori, anti-intellettuale come lo sono tutti i movimenti che contrappongono il popolo alle élite.

E’ la grande illusione del populismo quella di negare gli interessi contrapposti nella società, di presentare tutti uniti dagli stessi bisogni, dalle stesse priorità. E in nome di questa illusione aggredire tutte quelle farraginose ma utili istituzioni che servono a comporre gli interessi contrapposti. Gli italiani non ci hanno creduto. Hanno preferito salvare quel poco di fragile che resta dell’architettura democratica del Paese invece che lasciarsi sedurre dalle promesse di efficienza, efficacia e rapidità che derivano dalla rinuncia alla fatica della democrazia in favore dell’autorità, dell’uomo solo al comando.

In un mondo sempre più oscuro e incerto, gli italiani hanno scelto di trincerarsi dietro le poche barriere rimaste, alzate a proteggere valori che ora vengono messi in discussione. Barriere fatte dalla Costituzione, dai professori, da quella religione civile che è il collante dello Stato e della comunità.

La seconda ragione della sconfitta è che Renzi ha sacrificato l’agenda del Paese in favore della propria. Ci sono interi pezzi di Italia che sono stati dimenticati, problemi non affrontati, come quelli delle banche: Mps e Unicredit hanno rinviato gli aumenti di capitale per il referendum, il buco delle quattro banche “salvate” un anno fa ha continuato ad allargarsi mentre si cercava di nascondere il disastro. E poi l’Ilva di Taranto, i giovani disoccupati, la crescita zero, le liberalizzazioni dimenticate. Tutta l’energia è stata consolidata sul tentativo di rafforzare il proprio potere. Senza dimostrare di avere una chiara idea degli obiettivi finali da raggiungere.

Il No ha vinto. Avremo tempo per capire quali saranno le conseguenze. Ma è giusto fermarsi un attimo e guardare indietro agli ultimi mesi.

E a tutti quelli che ora sono preoccupati, va ricordata una cosa importante: il risultato del referendum è che la Costituzione non viene stravolta. Niente Brexit, niente Trump, niente catastrofi. Abbiamo solo difeso la Costituzione che continua ad avere dietro di se una ampia maggioranza di italiani. E questo dovrebbe rassicurare tutti perché garantisce solide basi alla nostra democrazia.

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