Milano, 21 dicembre 2016 - 20:46

I terroristi vogliono
radicalizzare l’Europa

Nel 2017 voteranno molti Paesi. Dobbiamo evitare che siano gli jihadisti a decidere l’esito

Una manifestazione a Berlino contro la cancelliera Merkel (Getty Images) Una manifestazione a Berlino contro la cancelliera Merkel (Getty Images)
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Forse non c’è nulla di più crudele che spargere sangue sul Natale. Ma c’è qualcosa di più insidioso: spargerlo sulle elezioni. E il 2017 sarà per l’Europa un decisivo anno di voto. Il camion del massacro di Berlino, lanciato sulla folla da un terrorista che l’Isis riconosce come proprio «soldato», rievoca certo, per modalità e ferocia, l’orrore dell’attentato del 14 luglio sulla Promenade di Nizza. E tuttavia un’analisi più accorta della scelta di tempo deve forse indurci a qualche preoccupata, ulteriore riflessione: perché questo nuovo attacco potrebbe non essere rivolto soltanto, o soprattutto, «contro il Natale cristiano», come s’è detto, ma contro la libertà di scelta nelle urne di diverse nazioni europee, configurandosi come l’atto di un’infame «campagna elettorale» dei fedeli del Califfato. Noi italiani sappiamo bene, per avere vissuto gli anni di piombo, quanto il terrorismo possa cambiare destini e orientamenti politici di un Paese. E l’affollamento elettorale della primavera-autunno 2017 è di quelli che difficilmente sfuggono a velleità destabilizzanti.

Il primo turno delle presidenziali francesi è fissato il 23 aprile: non c’è sondaggio che non dia per scontato l’accesso al ballottaggio del 7 maggio di Marine Le Pen, che ha portato il Front National a un passo dall’Eliseo. A marzo tocca intanto all’Olanda, dove l’ultradestra di Geert Wilders è accreditata del triplo dei consensi ottenuti nel 2012. Dopo l’estate, probabilmente a settembre, i tedeschi voteranno sulla decisione più importante nel futuro d’Europa: concedere o meno un quarto mandato ad Angela Merkel, respingendo le suggestioni estremiste di Frauke Petry, leader xenofoba di Alternative für Deutschland, cui veniva attribuito un 12 per cento già prima della strage del tir. Non è da escludere che, anticipando la scadenza naturale della legislatura, vada al voto anche l’Italia, in un quadro dove il populismo di Grillo (alle corde per la disastrosa gestione Cinque Stelle di Roma Capitale) potrebbe essere insidiato da quello di Matteo Salvini, che avrà anche un solo tasto su cui battere ma non manca mai di usarlo. Ed è, esattamente, il medesimo tasto battuto dai suoi sodali europei. Da Wilders come da Le Pen e da Petry, Angela Merkel con la sua politica coraggiosa e tollerante verso i rifugiati è dunque descritta come la vera responsabile dell’attentato di Berlino («mani sporche di sangue» che, nella versione salviniana, la renderebbero passibile di «un processo per alto tradimento in caso di guerra»). Ammesso che questa sia una guerra, forze nazionali responsabili farebbero fronte comune contro il nemico. Le destre populiste europee lo fanno, sì, tra loro, ma identificano il primo nemico nel fronte interno: nei partiti «di sistema» liberali o riformisti che guidano i rispettivi Paesi, additandoli al pubblico come traditori. Fin qui, rende.

Tuttavia, a ben guardare, la vera scommessa jihadista non è radicalizzare qualche migliaio di giovani islamici: è radicalizzare noi, milioni di europei. Quale avversario sarà infatti preferibile per chi vuole trascinare la propria gente alla Guerra Santa in nome di Allah? Governanti razionali come Merkel, capaci di accogliere chi ne ha diritto e reagire distinguendo, oppure leader che cavalchino il panico, come Le Pen o Frauke Petry, e promettano una reazione così indiscriminata da spingere allo scontro totale le comunità musulmane europee?

Se la sfida per i cuori e le menti è tra le forze della paura e quelle della ragione, il «fronte della ragione» non deve però dimenticare che i temi posti dalla destra xenofoba non sono inventati, sono vissuti dai cittadini come ferite. Non serve il buonismo, occorre agire su più questioni. La sicurezza intanto (più Europa ai confini, stop agli agglomerati di profughi fuori controllo nelle città): un nodo da sciogliere prima che strangoli le elezioni. Poi l’intelligence europea (da unificare, magari prendendo a modello il nostro eccellente antiterrorismo). Infine l’integrazione, rispettosa di ciascuno ma senza scivoloni multiculturalisti: l’Italia, ad esempio, deve riconoscere e regolare l’Islam come Giuliano Amato provò a fare nel 2006. Ci vorrà tempo, ma un giorno quest’orrore nei nostri cortili finirà. E, poiché l’orrore sempre cambia le nostre anime, ne usciremo diversi. Sarebbe saggio non permettere ai boia jihadisti di decidere come.

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