Vladimir Putin gioca d’anticipo. Tiene americani ed europei sulla difensiva. Ne soffre le risposte, quand’anche efficaci come le sanzioni, ma li prende poi in contropiede in Siria. Per aprire uno spiraglio nell’impenetrabile mente del Presidente russo occorre guardare al calendario che lo attende.

Le due scadenze che incombono sono il vertice Nato di Varsavia dell’8-9 luglio e il rinnovo delle sanzioni Ue, che scadono il 31 luglio. Il peggior combinato disposto sarebbe il rinnovo delle seconde e un ulteriore rafforzamento delle misure difensive dell’Alleanza in Europa orientale, specie basi e infrastrutture fisse. La Russia vorrebbe naturalmente ottenere la rimozione o l’attenuazione delle sanzioni, ma sa che dipendono dall’attuazione dell’accordo di Minsk e ne accetta in qualche modo la logica. Considera invece un atto aggressivo le infrastrutture Nato che baltici, polacchi e altri reclamano a gran voce.

Washington sarà l’ago della bilancia del vertice Nato. Mosca lo sa benissimo; gli altri alleati, Germania compresa, sono comprimari. Questo vertice è l’ultimo con l’amministrazione Obama; poi, alla Casa Bianca, ci sarà un nuovo (o nuova) Presidente. Trattare con Obama o aspettare?

Ecco la terza scadenza: il cambio della guardia a Washington.

Ve ne è una quarta, aleatoria: la tenuta dell’economia russa (e del consenso interno) con i costi di due guerre, elevatissimi in Siria, il petrolio intorno ai 30 dollari a barile e le sanzioni Ue. Le previsioni (due anni? meno?) possono sottovalutare la capacità russa di tirare la cinghia, propaganda nazionalistica e l’incognita del petrolio che può risalire, ma neppure lo zar può ignorare l’economia. Se lo fa, è a suo rischio e pericolo.

Vladimir Putin si trova a un bivio fra due strettoie: tenere alta la posta su Ucraina e Siria e riservare qualsiasi flessibilità alla prossima Casa Bianca; approfittare della finestra Obama e cercare con lui un modus vivendi. Il vertice Nato sarà il test decisivo dell’uno o dell’altro approccio. Il Presidente americano può mitigare ragionevolmente la risposta dell’Alleanza e tenere a freno i bollenti umori anti-russi - a condizione di avere da Putin contropartite cooperative in Ucraina e in Siria e, in generale, di abbassamento del confronto.

Due parole, «guerra fredda», hanno mandato in fibrillazione gli osservatori occidentali alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza. Ma non era quello il messaggio. Pronunciate all’inizio del discorso del Primo Ministro russo, hanno praticamente oscurato il resto dell’intervento, in cui Dmitri Medvedev snocciolava la ricetta di Mosca per evitare che, venticinque anni dopo, vi si ricada. Pro domo sua, certo, ma non senza sottintendere qualche flessibilità su Ucraina e Siria, e persino la captatio benevolentiae finale di citare John F. Kennedy (ve lo immaginate da parte di uno stantio leader sovietico negli anni della vera Guerra Fredda?).

È passato inosservato il passaggio più importante: «Prima di venire ha questa conferenza, mi sono incontrato col presidente Putin». Come dire: Putin non è qui ma il messaggio che vi porto è il suo. Il discorso non scopre le carte del Cremlino, ma si scopriranno presto in Siria con l’entrata in vigore del cessate il fuoco e, se seguirà, con l’avvio del negoziato di Ginevra. Si scopriranno in Ucraina specie se i russi useranno alcune elezioni locali in Donbass per far uscire di scena alcuni ribelli impresentabili (equivalente ucraino degli inaccettabili siriani di al-Nusra e affiliati).

Il rapporto personale di Putin con Obama, e viceversa, non è mai stato dei più facili. L’istinto di alzare la barra negoziale l’ha spesso servito bene, almeno nell’immediato. Questa volta sarebbe però solo grave miopia. Non cogliere la finestra ancora aperta alla Casa Bianca non farebbe altro che gettare la Nato nelle braccia di chi ne vuol fare una fortezza anti-russa e basta e impedire qualsiasi razionale riflessione europea sull’intensità delle sanzioni.

Se Vladimir Putin crede che le cose andrebbero meglio con il prossimo Presidente (e un Segretario di Stato senza la comunicativa di John Kerry con Sergei Lavrov), ci pensi due volte. O forse lo zar punta sul presidente Donald Trump che ha promesso intendersi alla grande con lui.

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