AnalisiL'analisi si basa sulla cronaca e sfrutta l'esperienza e la competenza dell'autore per spiegare i fatti, a volte interpretando e traendo conclusioni. Scopri di piùLA LEZIONE DI ALSTOM-sIEMENS

Perché l’asse franco-tedesco è la risposta sbagliata all’euroscetticismo

di Riccardo Sorrentino

La c ommissaria Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager

4' di lettura

Le regole bocciano la fusione Alstom-Siemens? «Cambiamo le regole». Non sorprende la presa di posizione francese sulla vicenda della fusione tra i due colossi ferroviari: l’intero modello economico del Paese si è basato sui campioni nazionali, che oggi non possono che avere una scala continentale. Non a caso il timore evocato è quello della concorrenza dei cinesi. La Francia ha da sempre posto come priorità la dimensione delle imprese rispetto alla competizione, malgrado l’evidente effetto (negativo) sui prezzi e sulle rendite di questa politica (e malgrado le ricerche, compiute proprio da un’economista francese, Philippe Aghion, sul rapporto virtuoso tra concorrenza e crescita).

La Germania e i campioni nazionali
Sorprende un po’ la reazione tedesca. La Germania è stata forgiata dall’ordoliberalismo, la versione continentale e aggiornata - e molto varia al suo interno - del (neo)liberalismo sociale, che ha dato allo Stato il compito di creare le condizioni per una maggiore concorrenza. Non si può certo dire che il modello - per quanto applicato con molte deroghe, soprattutto nei servizi - sia fallito. Martedì, però, il ministro dell’Industria Peter Altmeier, cristiano democratico, ha presentato una nuova strategia che punta a «formare campioni nazionali ed europei». Anche se il suo sostegno alla fusione Alstom-Siemens, e all’idea di modificare le regole è stato finora piuttosto freddo, i suoi toni “francesi” sono un fatto decisamente nuovo.

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Due culture diverse
Per anni Francia e Germania hanno seguito modelli economici completamente diversi. Parigi più keynesiana, e più affezionata - in linea con una lunga tradizione centralistica - a una forte discrezionalità del governo. Bonn e poi Berlino - capitali di un paese federale - hanno invece insistito sulle regole, fondamentali per coordinare diversi centri di potere. L’Unione europea è stata formata da un continuo compromesso tra queste due anime (e quella più orientata ai mercati della Gran Bretagna), che a volte hanno trovato un compromesso più o meno felice, altre volte si sono confrontate in maniera più brusca.

Una fase di convergenza
La fase attuale - animata da Emmanuel Macron e Angela Merkel - sembra del tutto nuova. Parigi, con il suo giovane presidente, ha capito - non senza contrasti interni - che la sfida tedesca va raccolta, che il Paese deve “armonizzarsi” - è l’obiettivo dichiarato di Macron - con il sistema giuridico ed economico tedesco. Anche la Germania, a quanto sembra, intende ora cogliere qualche elemento della cultura francese, pur così diversa, come strumento migliore per affrontare la concorrenza internazionale.

Una svolta dubbia
L’idea - fondamentale - che la concorrenza va assicurata anche sul mercato interno (insieme a quella che i colossi stranieri, industriali e finanziari, controllati dai governi forse possono essere legittimamente tenuti fuori in nome del principio del level playing field), sembra così abbandonata. Il fatto però che la svolta maturi nel momento in cui l’Unione europea mette in discussione i piani dei governi di Parigi e Berlino crea però qualche dubbio sull’intera operazione.

Un’Europa senza contrappesi
Il punto è: l’asse franco-tedesco, suggellato oggi anche dal trattato di Aquisgrana, sarà un traino per il progetto europeo, o corre il rischio di affossarlo - in un momento di crisi, per la pressione delle forze euroscettiche - perché metterà in evidenza gli interessi nazionali dei due Paesi? La domanda è doverosa: la struttura dell’Unione sta diventando sempre più squilibrata: la forza di Francia e Germania non è più bilanciata dalla Gran Bretagna, portatrice di una cultura economica che solo la piccola Olanda, oggi, condivide in parte. L’Italia ha da tempo mostrato la sua incapacità a svolgere un ruolo davvero europeo (l’ultimo governo sta solo alchimisticamente, e illusoriamente, tentando di trasformare in elemento di forza quella che è una debolezza strutturale). Il proliferare di governi euroscettici, infine, li trasforma in un ostacolo, facendo loro perdere di vista il ruolo (e il potere) di contrappeso. Più in generale, la forte differenza di dimensione tra i vari Stati membri non aiuta a trovare un equilibrio stabile.

La frammentazione dell’Unione
Un asse franco-tedesco animato da interessi nazionali è quanto di peggio possa capitare all’Europa. È già successo: il 18 ottobre 2010, a Deauville in Normandia, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy avvertirono i partner europei, via cellulare, che avevano raggiunto un’intesa- immediatamente “bocciata” dalla Bce e dai mercati - su come affrontare la crisi. Commissione, Consiglio e Parlamento erano stati sorpassati. Il risultato immediato - al di là dei contenuti degli accordi, che introdussero tra l’altro il principio del bail-in - fu uno spostamento del potere verso i governi nazionali che furono ulteriormente incentivati a muoversi in ordine sparso. L’esito finale fu la frammentazione del sistema finanziario di Eurolandia. Alla Bce occorsero sforzi notevoli, e un enorme quantitative easing, per ripararlo.

Uno squilibrio strutturale?
Il nuovo asse franco-tedesco - mal sostenuto dai consensi interni dei due governi - corre il rischio di rendere strutturale questo squilibrio. L’Europa a più velocità è una realtà già oggi, ma il fatto che il gruppo leader sia formato solo dai due Paesi più grandi, che ora iniziano lentamente a integrare i sistemi giuridici, le regioni di confine, i sistemi di difesa (sia pure lasciando agli altri la possibilità di “aderire” ai loro progetti), corre il rischio di far perdere appeal al progetto europeo. Tocca, è vero, agli altri Paesi far pesare il proprio ruolo (e la Nuova Lega Anseatica sembra andare in questo senso). L’euroscetticismo del gruppo di Visegrad e di tanti partiti autoritari, però, non si pone questo obiettivo, che è invece centrale.

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