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Politica

Soluzione estrema. Tutta Italia a casa

Agf
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Il volto tirato in conferenza stampa. Le misure spiegate al paese in modo confuso, senza un elenco completo di ciò che si può fare e ciò che non si può fare. E quel lapsus sul “ministro Salvini”, che svela il timore, uno dei tanti, che sta dietro la grande accelerazione sulla chiusura del paese. È la conferenza stampa di Conte, dove viene annunciato che l’Italia diventa una grande “zona arancione”. E vengono estesi i divieti che, solo 48 ore fa, vigevano solo nelle zone del Nord. Una catena di incertezze ha portato a una scelta estrema per il paese, al bivio tra Salute e Pil, sicurezza sanitaria dei cittadini e un prezzo drammatico, in termini politici, economici, di immagine internazionale. È una soluzione, a questo punto necessaria e sacrosanta, che rivela come il contenimento messo in campo finora non ha funzionato. In tre settimane da tre focolai nel Nord all’Italia chiusa, come un unico grande focolaio.

Semplicemente: perché la situazione è diventata ingestibile. Ingestibile perché gli italiani sono indisciplinati, incapaci di seguire con rigore e senso civico le indicazioni che sono state date, anche di fronte a una allerta significativa e agli appelli degli scienziati. Nel corso della riunione pomeridiana con tutti i governatori il ministro Francesco Boccia ha mostrato, basito, un’offerta delle stazioni sciistiche dell’Abetone: “Niente scuola, venite tutti a sciare a un euro”.  Tutti i presidenti di Regione hanno condiviso che, proprio in questi giorni, in parecchi hanno interpretato il coprifuoco da virus come una vacanza: milanesi che vanno a sciare in trentino, liguri in Toscana, così come i ragazzi continuano a riempire i locali senza rispettare le regole di distanza e prudenza. La paralisi della nazione è conseguenza necessaria anche di questa assenza di senso civico: l’obbedienza imposta dal potere per sopperire all’assenza di una sedimentata responsabilità e di una civile cultura dei doveri.

 

 

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Certamente i regimi autoritari, come la Cina, hanno più facilità a far osservare le disposizioni prese dal governo. Certamente, in Italia, paese poco disposto a scambiare non solo la libertà, ma anche l’arbitrio per la sicurezza, le incertezze della catena di comando sono state le migliori alleate di questa indole indomita. “Perché oggi?” è la domanda che viene spontanea, cioè a soli due giorni da misure varate solo per il Nord. Perché è già evidente la saldatura tra emergenza sanitaria e problemi di natura sociale e di ordine pubblico. Mentre arrivavano le notizie della rivolta in tutte le carceri d’Italia, i report del “comitato scientifico” parlavano, nelle zone del Nord, di un “fattore di riproduzione” a livelli cinesi: “R2” è la formula, e significa che il numero dei contagiati ogni giorno raddoppia, cioè un contagiato ne fa due, e se non si abbassa a 1,5 non bastano neanche le centinaia di macchine per le terapie intensive che arriveranno la prossima settimana. A questo si aggiunge l’incognita del Sud.

Stamattina sul sito della Regione Puglia era riportata la notizia che sono 2.500 le persone che si sono “auto-segnalate” per dichiarare di essere rientrate in questo fine settimana dalle regioni del Nord. L’errore fatale della “febbre del sabato sera”, tra bozze spifferate, esodi di massa, e mancanza di direttive alle forze dell’ordine. Nel periodo dal 29 febbraio ad oggi sono 9.000. Solo la Puglia. Solo gli “auto-segnalati”, il che, considerante le abitudini italiche, significa che sono più del doppio, e non tracciabili. E significa che, se tra quelli che sono rientrati l’epidemia prende il ritmo del Nord, la situazione porta inevitabilmente al collasso, peraltro – e non è un dettaglio – in presenza di sistemi sanitari e di una cultura della cittadinanza che non sono, con tutto il rispetto, quelli di Milano.

È un quadro che si annuncia estremo. E che rende condivise misure estreme, considerate “folli” quando mezzo governo – ricordate le dichiarazioni di due settimane fa – aveva messo in campo una strategia della minimizzazione, perché “è solo un’influenza”. Il drammatico paradosso di questa storia è che la soluzione obbligata e, a questo punto, doverosa e senza alternative è il grande alibi collettivo di una intera classe dirigente nazionale, che finora non ha riflettuto un solo minuto su “come” l’emergenza più straordinaria della storia repubblicana è stata interpretata, da maggioranza e opposizione. E che, a questo punto, può dire, a se stessa e al paese: le abbiamo provate tutte, di più non si poteva fare.

La messa in campo della misura più radicale monda cioè quello che è stato fatto o non fatto in queste settimane. Vale per il governo, con tutte le sue incertezze, che, di fronte alla pressione dell’opposizione, accetta lo schema della condivisione per non essere spazzato via da un governo di emergenza portato, naturaliter, dall’emergenza. Vale per Salvini, che voleva utilizzare questa crisi per andare al voto, passando per un altro governo. E adesso invoca la responsabilità nazionale e plaude alle misure che poi sono state prese. Una sorta di “unità nazionale” fuori tempo massimo che non nasce dall’analisi oggettiva della situazione oggettiva in tempo utile, ma arriva a un passo dal burrone del paese, che è al tempo stesso il burrone di una classe politica, perché nessuno può uscirne indenne da un lazzaretto, né chi lo ha inizialmente sottovalutato né chi ha fatto lo sciacallo pensando di lucrare sulla peste. 

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