Retorica e pochi fatti: perché fino ad oggi Hezbollah non ha voluto entrare nella guerra tra Israele e Hamas?

di Andrea Nicastro

Nessuna bandiera ai funerali di Arouri. In Libano arrivano i mediatori. Tocca a Washington decidere quanto pagare la pace: il Libano è in pezzi

Retorica e pochi fatti: perché fino ad oggi Hezbollah non ha voluto entrare nella guerra tra Israele e Hamas?

DAL NOSTRO INVIATO
BEIRUT - Il nemico del mio nemico è mio amico. Ma in Medio Oriente neppure questo è sempre vero. Ieri a Beirut, ai funerali dello sceicco Al Arouri, alto esponente di Hamas ucciso da tre missili di Israele, c’erano decine di bandiere di Hamas, qualcuna in rappresentanza di Fatah, la fazione palestinese rivale, e nessuna, nemmeno una, di Hezbollah. È stata una cerimonia sunnita, in una moschea sunnita, in un quartiere sunnita. Gli sciiti di Hezbollah che pure ospitavano Al Arouri nel loro quadrante della capitale libanese erano presenti solamente con due funzionari. Eppure nel suo discorso di mercoledì, il leader degli sciiti libanesi Hassan Nasrallah, aveva tuonato. Ogni volta che Nasrallah apre bocca, il Libano ha i brividi. La paura è che dichiari guerra per salvare i 2,3 milioni di palestinesi di Gaza, per approfittare della dispersione delle forze israeliane e puntare finalmente su Gerusalemme. Nella retorica della «resistenza all’entità sionista» e del «martirio per liberare Al Quds» (Gerusalemme), sarebbe una decisione coerente. Invece, nei fatti, Nasrallah temporeggia, anche dopo la morte di Al Arouri: «La ritorsione arriverà», ma non subito. Tradotto, Al Arouri non vale una guerra. Esattamente come non basta la sanguinosa vendetta israeliana a Gaza. Hezbollah ha espresso solidarietà ad Hamas, ma si limita a bombardare entro 10 chilometri dal proprio confine. In sostanza fino ad oggi Nasrallah non ha voluto allargare il conflitto. Perché?

C’è un argomento militare e uno politico. Due portaerei americane in navigazione davanti alle sue coste sono state, di sicuro, un ottimo deterrente. L’appoggio Usa ad Israele in caso di conflitto aperto non avrebbe lasciato scampo ai pur potenti Hezbollah. I 150mila missili libanesi farebbero molto male a Tel Aviv, ma l’aviazione israeliana raderebbe al suolo Beirut come sta facendo con Gaza. La guerra si può fare quando qualcuno paga i danni e il Libano non ha i soldi per ricostruire. Israele si potrebbe economicamente permettere una guerra a Nord, ma secondo il Guardian, gli Usa sono intervenuti due volte dal 7 ottobre per fermare un attacco preventivo di Israele contro Hezbollah.

Ideologia e solidarietà non bastano se le casse libanesi sono vuote e la crisi economica profondissima. Teheran ha fatto sapere di non poter finanziare alcunché. Quindi? Meglio discutere. La tensione si abbassa, una delle due portaerei americane sta lasciando l’area.

La speranza del movimento sciita libanese è di uscire da questa crisi finalmente riconosciuto a livello internazionale, legittimato. Già oggi ha la maggioranza in Parlamento per poter eleggere un suo uomo (Suleiman Frangieh) alla presidenza. Ma sarebbe inutile. Assieme alla carica ci vuole una svolta economica. Così, diplomatici informati delle trattative, spiegano al Corriere che Hezbollah chiede, in cambio della pace, la fine dell’embargo internazionale e il ritorno degli investimenti dei Paesi del Golfo.

La Francia (ex potenza coloniale) è in prima linea. Il presidente Macron ha detto a Israele che «è essenziale evitare un atteggiamento provocatorio, soprattutto in Libano». Tel Aviv vuole riportare la pace al confine Nord per concentrarsi sui palestinesi, per sicurezza esige la smilitarizzazione a sud del fiume Litani come previsto dalla Risoluzione Onu 1701. Hezbollah ufficialmente reclama territori contesi come le fattorie di Shebaa, ma sotto il tavolo le richieste sono altre.

A fine novembre, sono passati da Beirut Jean-Yves Le Drian, inviato di Macron, e Bernard Emier, capo dell’intelligence di Parigi. Hanno ottenuto la conferma di un cristiano, Joseph Aoun, al comando dell’esercito libanese. Tutto però dipende dalla «nazione indispensabile», gli Stati Uniti, perché tocca a Washington decidere quanto pagare la pace. Il conto è affidato a Amos Hochstein, inviato mercoledì dal presidente Joe Biden a Beirut e ieri a Gerusalemme per «aiutare a sciogliere la tensione tra Israele ed Hezbollah».

Pace in cambio di rinascita. Nasrallah vuole che il Libano esca dall’asfissia economica, un obbiettivo molto lontano dalla retorica del fanatismo, comprensibile, volendo, anche in Occidente.


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5 gennaio 2024 (modifica il 5 gennaio 2024 | 07:41)